L'angolo degli inediti
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GUGLIELMO APRILE, NAPOLI 1978
Risiede a Verona. È autore di alcune pubblicazioni di poesia, tra cui L’assedio di Famagosta (LietoColle, 2015), Il talento dell’equilibrista (Ladolfi, 2018), Il
giardiniere cieco (Transeuropa, 2019).
Motivazione
Queste poesie di Guglielmo Aprile si concretizzando in un flusso poematico sorretto dall'uso di metafore visive e sonore. Al centro di tutto sembra stagliarsi l'enigma della natura (ma
anche l'enigma metafisico di De Chirico), qualcosa di indecifrabile su cui batte percussivamente lo sguardo di chi scrive, attraversato da presenze mitiche o ancestrali (l'acqua del mare e la
Gorgone). Una poesia dagli stilemi squisitamente classici, primonovecenteschi (abbastanza scoperto almeno il richiamo a Quasimodo, ma c'è anche Ungaretti) – che si offre come atto di
devozione e di ascolto e del mondo, a precipizio sull'anima, con qualche accento di enfasi. Una poesia che trova sostegno nello studio e che cerca ancora forza nell'immedesimazione panica.
da Quadri siciliani
1.
La cavalla dell’onda, a perdifiato
e senza briglie, batte i litorali
e perpetra la sua corsa, e correndo
agita la sua torcia, la sua bianca
criniera scarmigliata, e ride, e l’eco
della sua voce spalanca le labbra
frastagliate di questa spiaggia, e staglia
sulla sabbia una statua millenaria
dalle infinite d’acqua e sale braccia.
7.
Nuoto nello smeraldo; in alto, il picco
di Tindari cavalca incontro al sole
a capo delle armate di granito.
Il cielo è un petalo incandescente;
l’infaticabile e nascosto fabbro
che in questa conca scavò il proprio asilo
immerge in mare le sue mani enormi
e tempra la sua corona che brucia;
avanguardie di cardi e di agrifogli
spiano dalle merlature, scoppi
di fichi d’India fra massi frananti;
i colori sembra esultino: da ogni
ciuffo d’erba, da acque e rocce un oro
veemente e selvaggio scaturisce;
un’intima fiamma si annida
in linee e superfici che il riverbero
con la sua ala accieca; l’aria esplode
di una tempesta di spade che danzano.
Per troppa luce gli occhi sono roghi;
io mi dilato: il mio respiro copre
il diametro di quest’abbagliante
anello di pietra e schiume che il golfo
tiene nascosto nel suo pugno al mondo.
10.
Bara del mare, lapide
vellutata: io mi consegno nudo
e senza condizioni a queste acque
che in letti di genziane
mi depongono e come accarezzandomi
sotto un molle sudario mi ricoprono;
la morte è pura non la tempo ora:
sarà come nel grembo di quest’onda
affondare, distendermi
nel suo battito stanco,
arrendermi al suo dondolio,
mentre il sonno turchese
chiuderà sul mio corpo le sue palpebre.
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