«Questo e altro», pubblicata a Milano per otto numeri fra il 1962 e il 1964 è nata da un’idea di Giovanni Raboni e dell’editore Arrigo Lampugnani Nigri e, materialmente, fondata da un gruppo di intellettuali e scrittori molto diversi fra loro, ma anche molto empatici come Niccolò Gallo, Dante Isella, Geno Pampaloni e Vittorio Sereni. Si può giustamente farla rientrare nel gruppo di riviste – «Politecnico», «Belfagor», «Menabò», «il verri» ecc. – che, dal secondo dopoguerra fino alla contestazione del ’68, ha rappresentato il “luogo” ideale per i vivaci dibattiti letterari, ma anche culturali e “politici” del periodo. I maggiori intellettuali del tempo sulle sue pagine hanno espresso le loro opinioni, talvolta contrastanti, rivelando un fermento culturale che non ci si aspetterebbe nell’Italia del boom economico. Questo libro non è puramente un’antologia dei testi pubblicati allora, ma è anche la testimonianza in prima persona dell’editore che ha contribuito a sostenere concretamente lo scambio e scontro di idee dei principali protagonisti del mondo culturale dell’epoca.
Arrigo Lampugnani Nigri è nato a Milano nel 1932. Al liceo classico Parini diventa amico di Giovanni Raboni. Continua poi gli studi privatamente con Vittorio Sereni ad insegnargli italiano e Enzo Paci storia e filosofia. Si laurea in Filosofia all’Università Statale di Milano con una tesi sui Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx. Nel 1961 fonda la casa editrice Lampugnani Nigri Editore e diviene l’editore della rivista di filosofia «aut-aut» fondata da Enzo Paci. L’anno successivo, con Raboni e coinvolgendo Vittorio Sereni, Dante Isella, Geno Pampaloni e altri, fonda la rivista letteraria «Questo e altro». Con lo pseudonimo Sergio Livio Nigri è autore dei libri Paicap (2013), La rete magica (2015), Vivendo e in parte vivendo (2016) e Il marito paziente (2017).
Estratti
L’amicizia con Giovanni Raboni risale ai tempi del liceo e ci ha portato poi, nel corso del tempo, a un lungo periodo di lavoro in comune. Un rapporto che si è rivelato fondamentale per il mio
impegno futuro nella piccola casa editrice (Lampugnani Nigri editore, fondata nel 1961): «Questo e Altro» non sarebbe certo uscito senza Raboni. Il Rab, molti anni dopo, così ricorderà quel
periodo degli anni Cinquanta:
«… Dopo aver frequentato penosamente, con lunghe assenze per malattia o rifiuto, quarta e quinta ginnasio e prima liceo al glorioso, detestato Parini, avevo deciso, con l’indulgente e forse
illuminato consenso dei miei genitori di fare da solo. Prendevo di tanto in tanto qualche lezione di matematica e fisica; per il resto mi arrangiavo, temerariamente, con i miei mezzi. Non meno
irregolare e avventato di me nella carriera scolastica era, in quegli anni, il mio amico Arrigo L. N., di cui non scrivo qui per intero il cognome solo perché mi sembra, in questa sede, superfluo,
dal momento che è stato sin dall’inizio e per parecchi anni – dapprima in veste di finanziatore, poi direttamente – l’editore di «aut aut». Ex pariniano anche lui (era nella mia stessa classe), aveva
lasciato la scuola non ricordo se qualche settimana prima o dopo di me; e anche lui, in quel cruciale 1950, stava preparandosi privatamente alla maturità. E poiché la sua famiglia, allora molto
ricca, aveva la lodevole disposizione a proteggere, rispettosamente, artisti e intellettuali, Arrigo andava a lezione dai più bei nomi della cultura italiana, scelti con raffinatezza e sottile
preveggenza non fra quelli che già lo erano, ma fra quelli che infallibilmente, nel giro di pochi anni, sarebbero diventati tali. Un insegnante di italiano che si chiamava Vittorio Sereni, un
insegnante di filosofia che si chiamava, appunto, Enzo Paci… Arrigo ed io non studiavamo insieme: lui aveva i suoi mirabolanti precettori, io i miei sfiancati libri di testo, i miei faticosi appunti.
Ma insieme passavamo comunque diverse ore al giorno, parlando d’altro, soprattutto dei libri che leggevamo, o giocando a ping-pong nel solenne e un po’ tetro palazzo di corso Venezia dove Arrigo e i
suoi abitavano in quegli anni, o ascoltando musica nel palco di seconda fila, incredibilmente vicino al palco reale, che avevano alla Scala. E settimane intere passavamo in una loro villa a
Magreglio, dove stavamo al fresco e ascoltavamo musica (quanto Bach, quanto Mozart a settantotto giri), e studiavamo, ciascuno per conto suo…
Fu per suggerimento di Paci che il mio amico e io imparammo quasi a memoria il Doctor Faustus di Thomas Mann…» («aut aut», n. 214-215, luglio-ottobre 1986).
Recensioni
Alias Il manifesto 25042021.pdf
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«Questo e altro», recensione di Paolo Di Stefano, «Corriere della sera», 24 gennaio 2021
«Questo e altro», recensione di Rosita Copioli, «Avvenire», 27 dicembre 2020
«Questo e altro», recensione di Giuseppe Conte, «il Giornale», 7 novembre 2020