È difficilmente inquadrabile, il lavoro poetico di Giovanni Gardella. Infatti si muove con disinvoltura e sottigliezza in varie direzioni e secondo registri diversi: ma sempre con esattezza e poetica onestà. Balza subito all’occhio l’efficacia del suo estro, molto vivo e inquieto con elegante discrezione. La felicità concreta delle sue immagini può far pensare all’opera di Luciano Erba. Eppure – ed ecco appunto l’originalità imprendibile della sua personalità – l’autore non si ferma qui, non si appaga di un solo modo. Molto spesso la sua parola è scattante e acuta; altre volte propone sequenze ritmiche incalzanti non lontane da Giancarlo Majorino. Ma anche in questo caso il riferimento è parzialissimo, momentaneo. Insomma, si potrebbe dire che Gardella è sempre da un’altra parte e quando pensi di averlo inquadrato scappa via. Tanto è vero che riesce ad alternare momenti di dolce pacatezza ad altri di più nervoso taglio epigrammatico, magari mettendoli a fronte uno dell’altro e realizzando così inopinati attriti, interessanti scintille. L’ironia, in effetti, è tra le sue corde ed è certo uno dei modi in cui meglio si esprime l’intelligenza poetica di Gardella. D’altronde, se qua e là Gardella pratica la secchezza dell’epigramma, neppure disdegna componimenti di ampio respiro, dove la memoria si presenta colorita e affabile: “Ti ritrovo infine / nell’esame della D al Manzoni / per la prima volta, / città di Milano”. E Milano è in effetti il luogo di prevalente ambientazione di questa poesia, tanto è vero che Gardella spesso ne nomina strade e quartieri, come Porta Venezia, dove un “vertiginoso viale” riprende la “vertiginosa Amsterdam” di Vittorio Sereni, un altro dei sicuri maestri dell’autore. Ma proseguendo, accanto alla grazia, all’ironia, al sorriso, al variare dei ritmi, troviamo anche il rimpianto e la presenza della morte, come nella rievocazione di figure come Testori, o come l’astronauta Pete Conrad o Gianni Versace. D’altra parte, in alcuni dei pezzi di maggior pregio, si annida una malinconia tagliente, nella rappresentazione di ciò che di più squallido ha il dolore: “Nel giorno più freddo dell’inverno / mi hai detto: “fuori di qua, / dalla mia vita, dalla mia casa”, con quel finale da brividi, con quella “culla / che mi vestirà poi demente”.
Giovanni Gardella è nato nel 1961 a Milano, dove vive. Insegna Storia dell’Arte alle scuole superiori e alla facoltà di Architettura Civile del Politecnico. Ha pubblicato saggi tematici e monografici di critica d’arte e critica letteraria, contribuendo all’attività delle riviste «Manocomete» e «La mosca di Milano». Nel 1994 è stata stampata dall’editore Marcos y Marcos la sua prima raccolta di poesie La città vivibile, con riproduzioni di dipinti di Marco Petrus.
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