Una poesia di eleganza sottile, l’opera di un animo sensibilissimo e, per questo, vittima inerme dei colpi della sofferenza, come è detto in un passaggio non indifferente, dove emerge “la voglia incantata di abitare la morte”, accanto, peraltro, a uno strenuo aggrapparsi alla vita, pur entro un personale senso di precarietà. Risale alla fine degli anni ’70 il primo apparire alla poesia di Maurizio Brusa, con la sua totale fiducia in quest’arte e il suo difficile rapporto con la quotidianità e subito, con Giovanni Raboni alla Guanda, si era capito il valore e la dolcezza turbata di un ragazzo che forse, almeno in parte, si è conservato tale. Immutata la sua fiducia nel verso, che ritroviamo qui nella sua freschezza, amara spesso, ma senza appannamenti. Ci regala impressioni e osservazioni veloci, eppure mai immediate, frutto di una abitudine forte, irrinunciabile, allo scavo e alla traduzione in secche immagini, scolpite come registrazioni dell’osservazione e della sensazione stesse.
Maurizio Brusa è nato a Imola, dove risiedeva, nel 1951. La sua prima raccolta di poesie, Con la sua negligenza, risale al 1979 (Quaderni della Fenice, Guanda). Segue La pigrizia dell’occhio («Almanacco dello Specchio», Mondadori, 1986). Lavora inoltre come traduttore, curando una scelta di scritti d’arte e lettere di Gauguin (Scritti di un selvaggio, Guanda, 1983) e altre pubblicazioni. Nel 2002 esce la plaquette I disagi dell’ombra (La Mandragora). Nel 2006 una silloge di poesie inedite compare sull’«Almanacco dello Specchio». Nel 2008 pubblica la raccolta Grammatica del Silenzio (Manni Editore), finalista al “Premio Internazionale Alfonso Gatto”. Escono alcune poesie nell’Antologia D’un sangue più vivo. Poeti romagnoli del novecento (Il Vicolo, 2013). Nel 1986 ha partecipato, come poeta, alla XLI Biennale di Venezia nella sezione Arte allo specchio. Negli anni ’80 ha fondato e diretto la libreria “La Fenice” a Imola. Ha collaborato con numerose riviste. Purtroppo ci ha lasciati nel 2017.
Premi e Riconoscimenti
Io lo ricordo ancora da ragazzo, con quella sua aria timida e acuta, tremante e viva, che a dispetto di tutto e di una sofferenza intima e profonda che lo ha sempre accompagnato, ha continuato a essere la più nitida e rara evidenza del suo essere, del suo carattere. Uomo sensibilissimo e poeta raffinato, nei temi e nella scrittura, Maurizio Brusa ha sempre coltivato la letteratura non come un’ancora di salvezza, ma come una prova di verità, e di una verità, quella della sua esistenza, dove il dolore, purtroppo, ha sempre prevalso. Ma tra le sue virtù c’era anche, nella piena consapevolezza della più oscura sofferenza, la nobiltà d’animo del silenzio e del distacco solitario, della discrezione nemica dell’enfasi e di ogni banale forma di retorica autoesibizione. La sua, come dice il titolo del libro che abbiamo da poco pubblicato, è stata una vita scalza, dunque asciutta, ruvida e senza orpelli o infingimenti. E così è stata la sua opera, la sua poesia, che è tutto ciò che ci rimane, e non è certo poco, ed è qualcosa da raccogliere nella sua completezza, e su cui ritornare. Con il rimpianto, si capisce, per la troppo prematura scomparsa dell’uomo, tanto amabile e intenso nella sua tenera, affabile e trasparente innocenza.
Maurizio Cucchi
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