Paolo Rabissi possiede le virtù della pazienza e della limpidezza onesta dello stile. La pazienza è anche nella storia personale di un autore che ha saputo aspettare con discrezione, che ha pubblicato con parsimonia estrema, e che giunto a un’età rispettabile ci propone un’opera in cui seleziona e raccoglie un lavoro di oltre vent’anni. La limpidezza dello stile si coglie ad apertura di pagina, e si realizza nel controllo e nella ferma, sobria asciuttezza della scrittura e nel suo equilibrio, nell’economia garbata e senza avventure o sbavature del suo verso. Potremmo dire che quella di Rabissi, poeta triestino e milanese d’adozione, è la pronuncia disincantata e saggia, velata di malinconia ma sempre aperta alla vita, di un poeta che ama i toni bassi, l’esattezza della parola senza facili alonature: per dare voce e credito ai risvolti ricchi di senso delle cose quotidiane. Una poesia in cui annota, testimonia e commenta, senza la minima tentazione d’enfasi, piccole gioie dell’esistere e umanissimi dolori nei quali possiamo riconoscerci.
Percorriamo lungo questi versi il senso della consapevolezza di quanto sia, per usare una sua felice osservazione, “tra l’io e il noi l’alleanza difficile”. Il poeta annota i passaggi di una vicenda immersa nel teatro cittadino, di cui i protagonisti percorrono vie secondarie, luoghi discreti e opachi; una vicenda segnata dal variare degli umori e delle stagioni, perché il tempo sembra essere, nel suo scorrere indifferente ai nostri ambiziosi soprassalti, il sottinteso tema chiave – o comunque uno dei nessi guida – della poesia di Rabissi. Lo vediamo nella sezione del libro che comprende i testi che precedono il Diario, dopo l’intermezzo, e che si intitola L’imperfezione dello sguardo. D’altra parte, l’autore ci aveva avvertito, nel suo intelligente disincanto, dell’astigmatismo dell’osservatore, che gli procura immagini instabili e deformate, sempre incerte tra verità e arbitrio, oggetto di una poco affidabile percezione soggettiva. Ma, a proposito del tempo e del suo contributo a una visione cangiante delle cose, possiamo leggere in questa sezione uno dei suoi testi più efficaci e persuasivi, dagli accenti quasi sereniani, e cioè Lettera all’amico rimasto in città, dove cade anche la necessità del verso, nella naturalezza dei ritmi, nella compattezza della frase: “i tempi lunghi del mare i tempi quasi fermi di queste prime cime di monti: come un mimo fuori tempo, ti dico, quassù già nella bruma, l’autunno ancora tra primule si sfoglia.”
Paolo Rabissi nato a Trieste vive a Milano. È autore anche di saggi critici e recensioni e suoi versi compaiono su riviste e siti. Già redattore di riviste di filosofia e letteratura tra cui «Il Monte Analogo», rivista di poesia e ricerca. Presente in varie antologie tra cui Orchestra – Poeti all’opera, numero due, direttore Giampiero Neri, Lietocolle 2008. Ha pubblicato nel 2001 Città alta, con nota introduttiva di Giampiero Neri, per DIALOGOlibri, nel 2005 La ruggine, il sale con prefazione di Tiziano Rossi, per Lietocolle e nel 2009 Maschile plurale, per DIALOGOlibri.
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