Un uomo osserva, ragiona. Il suo occhio è acutissimo. È immerso nel paesaggio, o nei reticoli della città e sembra quasi dimentico di se stesso. Quello che lo attrae è il mondo esterno, nella sua storicità, nella sua architettura, e dunque nel suo essersi costruito passo su passo realizzando un tutto variegato, da cui l’osservatore è catturato. Gli oggetti sembrano dilatarsi e diventare altro, in una sorta di strana geografia esattissima e ansiosa. E in quel paesaggio, in quella realtà esterna minuziosamente indagata, anche la vita emotiva dell’osservatore
“trasmigra” e si moltiplica nel mare delle cose e della folla.
Massimo Dagnino è poeta di singolare qualità e di particolarissime ossessioni. Disegnatore abilissimo, porta sulla pagina l’esattezza tenace e il perfezionismo che ne caratterizzano il tratto. C’è una sorta di furore matematico nel suo procedere, nel suo incontrare “strane architetture” e nel suo darne conto in versi variabili e sempre efficaci, duttili eppure asciuttissimi, e in un tono in apparenza del tutto freddo e razionale, come oggettivo. Appare un possibile legame naturale con un poeta di lui più anziano e dunque più noto come Giampiero Neri. Dagnino, in effetti, non conosceva l’autore di Teatro naturale, quando scriveva i suoi primi versi, ma, per due ragioni almeno, il rapporto con questo maestro della nostra poesia contemporanea ha un senso. In primo luogo perché, come Neri, l’autore di questo libro si muove nel preciso intento di realizzare una sorta di work in progress e, infatti, qui riprende e ingloba il lavoro precedente Verso l’annichilirsi del disegno... C’è una forte tensione progettuale - architettonica - nell’opera di Dagnino. Inoltre, una sua precisa virtù (e qui torna il rapporto-confronto con Neri) è nella capacità di muoversi in un ambito non lirico, o addirittura prosasticamente “impoetico”, componendo peraltro un’elegantissima tessitura poetica di quasi classica compostezza, di sicura dignità formale. Ma soprattutto, sia chiaro, al di là della sua vicinanza con altri autori del nostro tempo, la sua è una voce del tutto autonoma e dunque molto originale, tanto da essere già perfettamente riconoscibile per la complessa singolarità della sua proposta.
Massimo Dagnino è nato a Genova nel 1969. Sue poesie sono apparse in alcune riviste («Lo Specchio» de La Stampa, «Almanacco del Ramo d’Oro», ecc…). Verso l’annichilirsi del disegno… (LietoColle, 2004) è il primo libro in versi, con il quale ha vinto i premi Franco Matacotta e Orta San Giulio 2004 sez. Opera Prima. Ha tradotto per la prima volta in italiano il pittore e poeta americano Thomas Cole (In «Almanacco dello Specchio» n° 2, nuova serie, Mondadori, 2006). Nel campo artistico ha realizzato diversi libri d’arte in copia unica (Sili, Taccuino, Storia dell’architettura e oblio: Ludwig Persius, Atlante…).
Premi e Riconoscimenti
Premio "Poesia Giovane" al X Concorso Internazionale "Trieste Scritture di frontiera – dedicato a Umberto Saba", 2008
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