La vicenda poetica di Marco Ceriani ha ormai compiuto un lungo e originale tragitto, e del suo lavoro si sono ben accorti, nel corso del tempo, lettori autorevoli, da Giovanni Raboni a Rodolfo Zucco.
In questo Gianmorte violinista, Ceriani ha coagulato le più svariate presenze, creando oggetti-testo nati dalla concrezione di più elementi, che danno alla sua pagina una serie apertissima di sfaccettature, chiamando il lettore a una perlustrazione accanita e, in effetti, ardua, molto speciale e in ogni caso ben remunerativa.
Si potrebbe dire che il testo di Ceriani è passato, nel corso dei decenni, da una fisionomia liquida a una decisamente compatta e quasi minerale, in cui l’autore realizza dei conglomerati quanto mai compositi, con l’inserzione di dati colti, citazioni, prelievi da lingue varie, in un dettato arditamente sapienziale che invita l’interlocutore a un gioco sempre ricco di possibili sorprese. La trasparenza del passato, dunque, è ormai sullo sfondo di un’opera già consistente e, al suo posto, Ceriani ci presenta l’unicità di uno stile che chiede il coinvolgimento, non sul piano della comunicazione semplice, ma dell’impegno estetico sui dettagli testuali, lanciando quasi una provocatoria sfida che il buon lettore avrà sicuramente il merito di voler accettare.
Marco Ceriani è nato nel 1953 a Uboldo, provincia di Varese.
Dopo un episodio giovanile, Fergana (Amadeus, 1987), ha pubblicato i seguenti libri: Sèver (Marsilio, 1995), Lo scricciolo penitente (Libri Scheiwiller, 2002), Memoriré (Lavieri, 2010).
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